RECENSIONE | Strange World

Stranger World è il 61º film d’animazione dei Walt Disney Animation Studios, che arriva a poco meno di un anno esatto dalle celebrazioni del centenario di attività della Disney e che esce nelle sale in un momento di continua rivoluzione nell’industria dell’intrattenimento, nel mondo cinema e all’interno della Disney stessa. Un periodo per certi versi difficile, dove lo scontro si è consumato tra la major e le sale cinematografiche per quello che riguarda le finestre distributive, ma anche (e, forse, soprattutto) all’interno della Disney stessa, che è stata costretta a gestire le lamentele del reparto animazione (in particolare Pixar) sia per l’uscita in streaming di tutti gli ultimi film dello studio, sia per la chiacchierata vicenda legata alla poca rappresentanza di personaggi LGBT+ nei suoi film. Questo, unito al cambio di CEO, con il licenziamento di Chapeck e il ritorno di Iger, avvenuto pochi giorni prima dell’arrivo di questo film in sala, probabilmente non ha permesso a Strange World di essere al centro dell’attenzione della Disney, né tantomeno di farsi conoscere al grande pubblico, che infatti l’ha rigettato (complice una campagna marketing non pervenuta, ma non solo). Di questo film se n’è parlato molto di più dopo l’arrivo nelle sale, per il suo colossale fiasco al botteghino, di quanto non se ne sia parlato prima con pubblicità e chiacchiere della fan-base e, se è ormai palese che per la Disney questo flop è costato caro, ci sono alcune domande e considerazioni che ad un appassionato di cinema d’animazione come me sorgono spontanee, interrogativi sulla strada per certi versi rivoluzionaria e di rottura col passato che la Disney sta percorrendo, ma anche sul destino che il mondo dell’animazione, Disney e non, ha davanti a sé.

Il film è diretto da Don Hall, nome legato da tempo allo studio d’animazione Disney, e che negli ultimi anni ha lavorato a numerosi lungometraggi come Winnie the Pooh – Nuove avventure nel Bosco dei 100 acri del 2011, Big Hero 6 del 2014, Oceania del 2016 e Raya e l’ultimo drago del 2021, tutti film che ha co-diretto con altri registi. Per la regia di Big Hero 6, Don Hall aveva anche ottenuto, insieme a Chris Williams, il Premio Oscar nella categoria di Miglior Film d’Animazione nel 2015. In Strange World Don Hall è stato nuovamente affiancato, questa volta da Qui Nguyen, già sceneggiatore di Raya e sceneggiatore anche di quest’ultima fatica Disney.

Trama

Secondo la leggenda, il destino del popolo di Avalonia è quello di riconnettersi col mondo oltre le invalicabili montagne che circondano la loro terra. Jaeger Clade, esploratore di fama mondiale e vera star di Avalonia, vive con il solo obiettivo di raggiungere quelle vette coinvolgendo nelle sue spedizioni il figlio, Searcher Clade. Searcher però ha altre passioni, una su tutte l’agricoltura, e quando scopre una pianta dalle incredibili proprietà decide di lasciare una volta per tutte la strada tracciata da suo padre e seguire la propria: i due si dividono, Searcher dai suoi studi botanici sviluppa una formula che rivoluzionerà la vita di Avalonia, mentre di Jaeger si perdono le tracce. Passano gli anni e conosciamo Ethan, il figlio di Searcher, un esuberante giovane avventuriero dallo spirito ecologista, che vive dei racconti delle gesta del nonno Jaeger e sente in lui il richiamo all’avventura. Ma ben presto una minaccia incombe su Avalonia e sarà proprio la famiglia Clade a dover mettere da parte le divergenze e intraprendere un viaggio in un territorio sconosciuto, nelle profondità inesplorate dello strange world che dà il titolo al film.

Un film divisivo

Probabilmente questo è, tra i film realizzati dalla Disney negli ultimi anni, quello che più di tutti ha diviso gli spettatori. Io stesso mi sono fatto sì piacevolmente accompagnare in questo mondo così minuziosamente ricostruito, però devo ammettere che la parte grafica e il tipo di storia avventurosa sono stati gli elementi che più mi hanno colpito, mentre ho sofferto la mancanza di momenti emotivamente coinvolgenti e tutto il mistero alla base del film e che ruota attorno alla civiltà di Avalonia era ampiamente riconoscibile e, per chi già dal trailer o dalle immagini promozionali, aveva trovato delle analogie tra questo film e la serie “Siamo fatti così” non è andato troppo lontano da quello che poi viene mostrato in Strange World. Sicuramente, come dicevo, le strizzate d’occhio più o meno evidenti a tutto il filone delle storie d’avventura, dai Viaggi Straordinari di Jules Verne, alla saga di Indiana Jones, e non solo, posizionano questo come un film diametralmente opposto al filone di storie ispirate a fiabe classiche o con protagoniste principesse e magie. Personalmente in questa storia ho ritrovato echi lontani alle opere di Lovecraft, in particolare Alle montagne della follia, per quell’incipit che vede la spedizione fare una scoperta incredibile sulle montagne più alte e inaccessibili del pianeta, così come molti degli esseri che si incontrano lungo il cammino, in quel viaggio verso le profondità della terra, mi ha riportato alla memoria la serie anime Made in Abys.

Sicuramente, nel bene o nel male, questo film è diverso dalle precedenti opere dello studio, sia dal punto di vista visivo che di storytelling. Il character design dei personaggi è qualcosa che finalmente si distanzia da quanto visto da Rapunzel in poi, forme del corpo e, soprattutto, del viso che hanno determinato il canone per tutte le figure umane realizzate dalla Disney nell’ultimo decennio di film in computer grafica. Lo stesso mondo di Avalonia è un’esplosione di idee e di dettagli, dai mezzi utilizzati per muoversi ai tessuti degli abiti, dalla struttura dei palazzi alle piante e le creature che i personaggi incontrano nel loro viaggio. Un mondo effettivamente strano, come ci ricorda il titolo, diverso da quanto abbiamo visto recentemente dalla Disney, a volte fantastico, a volte utopico e così minuziosamente creato, ma diverso anche per il modo di veicolare alcuni messaggi, che tendenzialmente sono sempre presenti nei film Disney, ma che in questo Strange World, personalmente, ho trovato molto diretti, pur mascherati da altro. Un film ricco di immagini, colori, immaginazione, dove si percepisce che il reparto artistico ha avuto penso carta bianca, potendosi sbizzarrire a più non posso.

Ma oltre all’aspetto visivo, oltre al susseguirsi rocambolesco degli avvenimenti, cosa lascia questo film? Le vicissitudini dei personaggi sono assorbite completamente da una trama incalzante, un’azione continua che, sì, sviluppa quelle che sono le differenze tra i tre co-protagonisti, ma non permette un’eccessiva introspezione su di loro. Molti hanno paragonato questo film ai precedenti Il Pianeta del Tesoro o Atlantis, per l’aspetto avventuroso, per il protagonista maschile che per raggiungere il suo obiettivo si trova a lottare contro tutti (e, spesso, contro la sua stessa famiglia), per l’aspetto un po’ steampunk che contraddistingue tutti e tre i film, anche se non in modo identico (sono comunque passati 20 anni da Il Pianeta del Tesoro).

Eppure, sebbene Strange World condivida con questi film molti aspetti (tra cui il fatto di essere un flop economico eclatante), una cosa l’ho trovata mancante: l’immedesimazione nel protagonista. Che siate amanti o odiatori di Atlantis e Il Pianeta del Tesoro, è innegabile che in entrambi vi sia un nucleo emotivo d’impatto, che almeno in minima parte coinvolge lo spettatore. Atlantis si apre su una lunga sequenza, letteralmente drammatica, in cui ci viene presentata Kida, colei destinata a proteggere e salvare gli abitanti di Atlantide, mentre intorno a lei la sua città sprofonda tra morti e devastazione, mentre l’intera sequenza della canzone “Ci sono anch’io” de Il Pianeta del Tesoro conferisce un enorme spessore al personaggio di Jim Hawkins, al suo passato, ai suoi traumi e alla sua necessità di riscatto.

Questi elementi sono completamente assenti da Strange World e, sebbene sia ormai palese che la Disney di oggi non è più la Disney del 2000, nonostante le avventure che animano questo film siano ben riuscite e il mondo costruito nello sfondo sia ben strutturato e credibile, l’aspetto emotivo l’ho trovato carente, forse anche più di quanto visto recentemente nei lungometraggi dello studio che, da Rapunzel e Frozen in poi, hanno via via edulcorato e diluito sempre di più la componente drammatica nei loro film, al punto che oggi, una scena come la morte della nonna di Vaiana in Oceania, o quella di Baymax che mostra a Hiro i video del fratello Tadashi, sembrano vette di pathos irraggiungibili (il che, è tutto dire). Inoltre Strange World non è così incisivo nel comunicare i suoi temi. Gli stessi Atlantis e Il Pianeta del Tesoro, nel rappresentare la dicotomia genitori-figli o l’incontro/scontro con culture e mondi nuovi, avevano fatto uso ben più riuscito sia dei dialoghi che delle immagini.

Forse l’avventura è effettivamente troppa a discapito della componente emotiva che spinge i personaggi, forse la Disney di oggi non ha interesse a realizzare film più stratificati come una volta. O forse l’aver frammentato il ruolo del protagonista in tre co-protagonisti non ha aiutato nell’immedesimazione, sebbene la scelta di avere tre generazioni in cui rispecchiarsi poteva permettere al film di “arrivare” a un pubblico più vasto. Certo è che il potenziale in questo film c’è, anche alla luce di due temi più che mai attuali che sono stati affrontati in modo impeccabile: il cambiamento climatico e l’inclusività.

La genesi di questo “strano mondo”

L’idea di questo film venne a Don Hall quando, nel 2017, sentì i suoi figli (all’epoca di 10 e 13 anni) conversare con gli amici sull’effettiva esistenza dei cambiamenti climatici e le relative conseguenze. Alcuni bambini ci credevano, altri no, e questo generò un dibattito che fece riflettere il regista, il quale iniziò a domandarsi che mondo avesse ereditato da suo padre (guarda un po’, un contadino!) e, soprattutto, che mondo avrebbe lasciato in eredità ai suoi figli. Questi ingredienti sono il seme della storia stessa di Strange World, il dialogo ideale tra generazioni, da una parte, e quello tra chi ha approcci diversi alla natura e ai cambiamenti climatici. Così come in Zootropolis si usa il dualismo predatore/preda per parlare in realtà di diversità, cercando quindi di far assorbire allo spettatore concetti sociali in maniera indiretta, in Strange World si vuole parlare dello scontro generazionale non fine a sé stesso, non generalizzato, ma sul tema ben specifico ed estremamente attuale dell’ecologia, del rapporto tra l’uomo e la natura e, per estensione, dell’inquinamento del nostro pianeta.

A ben pensarci, infatti, lo scontro tra genitori e figli è una costante quasi onnipresente nei film d’animazione, che potrebbe anche aver stancato se non fosse che col passare degli anni i temi di questo sconto si sono evoluti: se fino a qualche tempo fa il pomo della discordia si riduceva all’interesse amoroso (Aurora che si innamora del principe e le tre fatine che le si oppongono, Jasmine che rifiuta i pretendenti proposti dal padre, Ariel che insegue Eric sulla terraferma, Pocahontas che si innamora di John Smith, e via dicendo), col passare degli anni lo scontro tra genitori e figli è stato posto su temi più generici e visioni del mondo inconciliabili, dal lavoro, ai sogni, all’autodeterminazione (lo stesso Jim, che vuole riscattarsi raggiungendo il Pianeta del Tesoro, o Vaiana che vuole navigare in mare aperto, o Rapunzel che vuole vedere le lanterne sono tutti esempi).

In Strange World è stato scelto di usare nuovamente lo scontro tra diverse generazioni, questa volta per parlare dell’ambiente e della crisi climatica. Da un lato l’idea è geniale, visto quanto questo sia un reale terreno di scontro generazionale (ne sono degli esempi gli scioperi di Friday For Future, o l’influenza di Greta Thunberg o la sensibilità della Generazione Z verso questo argomento), dall’altro non possiamo però dimenticare che il tema del rispetto dell’ambiente e del suo sfruttamento da parte dell’uomo non è certo una novità, e che anzi è presente praticamente da sempre nel mondo Disney (basti pensare a un film del 1942 come Bambi). Don Hall, insieme a Ron Clements, John Musker e Chris Williams, aveva introdotto già in Oceania il legame che unisce l’uomo alla terra, mostrando come gli abitanti di Motunui dipendessero totalmente dal buona salute della loro piccola isola polinesiana, evidenziando la fragilità di quell’equilibrio che è alla base della vita dell’uomo sulla terra.

Altro tema rielaborato in maniera vincente in questo film è quello dell’inclusività e qui, lasciatemelo dire, Disney ha fatto davvero un ottimo lavoro. In moltissimi chiedevano da anni, a gran voce, l’arrivo di un protagonista appartenente al mondo LGBT+ e questo finalmente è successo: Ethan, il co-protagonista del film, è dichiaratamente gay. Dopo numerosi anni (e numerosi film) in cui facevano la comparsa personaggi di contorno e ben poco rilevanti, che con una battuta di tre parole in croce avevano la pretesa di dare una spolverata di rappresentanza, con un’apparente naturalezza la Disney ha introdotto il suo primo protagonista gay, e lo ha fatto in un modo disinvolto e senza fronzoli, lasciando il focus su altro e non sull’orientamento sessuale di Ethan.

I tre protagonisti

Strange World pone al centro della sua storia lo scontro tra tre diverse generazioni rappresentate da Jaeger, Searcher e Ethan che ci vengono presentati nella sequenza di apertura animata in stile “fumetto” (se avete visto Spider-Man: Into The Spiderverse sapete di cosa sto parlando).

Jaeger Clade

Il primo è il tipico maschio alfa, uomo d’altri tempi che si fa strada attorno a sé sottomettendo l’ambiente circostante armato di lanciafiamme e machete. Trova incomprensibile che il figlio Searcher non abbia la sua stessa vocazione, ovvero l’esplorazione del mondo.

Il fatto che il padre lo abbia lasciato per inseguire il richiamo dell’avventura ha reso, di riflesso, Searcher un genitore molto presente, forse troppo. Lui è l’unico ad avere un giudizio negativo nei confronti di Jaeger, in un paese che lo venera come un eroe.

Searcher Clade

Questo fa sì che Searcher diventi un genitore molto coinvolto nella vita del figlio, ma, allo stesso tempo, spaventato dall’idea che Ethan possa diventare come il nonno Jaeger e inseguire il richiamo dell’avventura, abbandonandolo a sua volta.

In questo intreccio di sentimenti, che purtroppo non vengono adeguatamente e sufficientemente approfonditi, Ethan si trova paradossalmente circondato da famigliari che desiderano il suo apprezzamento ma che, allo stesso tempo, non capiscono cosa sia per lui importante.

Ethan Clade

Ethan cerca di inculcare nella mente del papà e del nonno idee progressiste, come il rispetto dell’ambiente, trovandosi a parlare una lingua che nessuno sembra capire: il padre, agricoltore, vede la natura come qualcosa da sfruttare mentre il nonno, avventuriero, è abituato ad ammazzare, bruciare ed estirpare ogni cosa che gli si pari davanti.

Per questo la scena più riuscita dell’intero film, secondo me, è quella in cui i tre si mettono a giocare al gioco di società di Ethan: ecco, in quel momento le divergenze tra tutti loro vengono fuori in una maniera ben costruita, mantenendo chiare le diverse visioni sul mondo, sull’aspettativa che i padri hanno sui figli e sulla frustrazione dei figli verso i padri.

Uno stile diverso dal solito

Come anticipato poc’anzi, il character design è qualcosa di diverso rispetto a quanto visto negli ultimi anni in casa Disney. Jin Kim, character artist e visual development del film, ha confermato che per realizzare la fisionomia dei personaggi gli animatori si sono fatti ispirare dai film di Hayao Miyazaki e dallo stile del fumetto franco-belga.

Avalonia in Strange World

La stessa influenza ai film dello Studio Ghibli personalmente l’ho ritrovata moltissimo nelle costruzioni, nelle case e nei palazzi di Avalonia: le forme tondeggianti dei tetti, le cupole, i colori mi hanno riportato a film come Laputa – Castello nel cielo e Nausicaa della Valle del vento. Tadahiro Uesugi, visual development artist del film, ha dichiarato che i suoi dipinti, utilizzati per la preparazione al film, rappresentavano i “punti di vista di un artista del diciannovesimo secolo che si imaginava il futuro”.

Laputa – Castello nel cielo

Per realizzare queste opere Uesugi ha letto romanzi di fantascienza di fine secolo, così da riempire il mondo di Avalonia di dettagli che sarebbero sembrati futuristici per le persone dell’epoca, come ad esempio i dirigibili, o i molteplici macchinari che vengono utilizzati dagli abitanti di Avalonia.

Nausicaä della valle del vento

Ecco, ancora una volta mi sento di dire che se per il background dei personaggi e per la componente emotiva che li muove nelle varie dinamiche fosse stata investita la stessa cura riservata agli sfondi, alle animazioni e alla civiltà di Avalonia, le sorti produttive di questo film sarebbero state diverse, e gli sforzi fatti per diffondere importanti messaggi ecologisti e inclusivi avrebbero, forse, trovato un pubblico più ampio. Quello che mi è rimasto alla fine della visione di questo film, sia al cinema che, mesi dopo, in streaming, è stata una sensazione di irrisolto, come se fossero stati inseriti molti messaggi dal nobile intento che però non sono stati elaborati e sviluppati nel migliore dei modi.

Un flop annunciato

Se da una parte l’odore di flop era nell’aria da parecchio tempo, dall’altra rimango spesso un po’ interdetto sull’esito che hanno determinati film, sia in negativo che in positivo. Intendiamoci, non sto dicendo che Strange World meritasse un successo epocale, ho evidenziato come ci siano molte cose che non mi hanno convinto. Però, sinceramente, l’ho trovato un film d’animazione perfettamente in linea con quella che è la nuova idea di intrattenimento che Disney sta portando avanti da molti anni e che ha determinato moltissimi dei successi moderni. Alcuni potrebbero muovere come critica il fatto che questo film non è un musical, o non è ispirato a una fiaba classica o una storia conosciuta, ma a ben osservare è dal 2013 che i Disney Studios non producono un film animato originale basato su una fiaba classica (Forzen), e se guardiamo gli ultimi 20 Classici Disney, dal 2001 ad oggi, solo 7 erano musical, e la stragrande maggioranza erano storie che di “classico” avevano davvero poco. Quindi eccomi qui, che cerco di capire il perché di un naufragio così globale, visto che ai miei occhi questo film rappresenta il prodotto giusto arrivato nel momento giusto, se inserito nel contesto di ciò sta arricchendo la Disney negli ultimi anni.

Molta colpa è probabilmente da attribuire al marketing, che effettivamente non c’è stato. È però vero che la Disney spesso punta al risparmio per quello che riguarda la promozione dei suoi film dal successo meno sicuro, e quindi si potrebbe obiettare che già si aspettassero che non avrebbero ottenuto un incasso tale da giustificarne le spese per la sua pubblicità. Insomma, un circolo vizioso a ritroso davvero poco sensato: spendi 180 milioni in un film, pensi che non incasserà abbastanza e decidi di non spendere soldi per promuoverlo, così la gente non saprà che esiste e il film davvero non incasserà. Profezia auto-avverante by Walt Disney Production.

È altresì vero che gli appassionati di film d’animazione, e nello specifico i fan Disney, erano ben a conoscenza dell’arrivo di questo nuovo lungometraggio dello studio. Eppure la maggior parte di essi si è dimostrata totalmente disinteressata a riguardo: se non sono i fan Disney i primi a correre in sala per vedere un film Disney, chi lo farà? Su questo si potrebbe aprire un lungo capitolo sul ruolo che ha giocato la pandemia, sullo streaming che ha eroso gli incassi delle sale cinematografiche, sul rilascio di moltissimi film estremamente attesi e di qualità sulle varie piattaforme come Disney+, Netflix e AppleTV: pensate a Soul, I Mitchell contro le macchine, Wolfwalkers, Red, Luca, e tanti altri. Tutti titoli di importanti case d’animazione, molto attesi e pensati per il cinema, che per motivi più o meno ovvi sono stati dirottati in streaming, creando dei precedenti importanti (la Pixar non ha avuto un suo film al cinema per più di un anno, Netflix nel 2021 ha distribuito tre film dei Sony Animation mentre, dopo Wolfwalkers arrivato su AppleTV, anche My Father’s Dragon, il nuovo film di Cartoon Saloon, è stato distribuito in streaming.).

Il mondo dell’animazione sta vivendo anni complicati. Se da un lato la qualità dei prodotti si mantiene molto alta, complice un mercato sempre più competitivo, contaminato nei temi e negli stili, e sempre più aperto a nuovi paesi, dall’altro il box office inizia a evidenziare come solo certi film, tendenzialmente sequel o legati a brand e proprietà intellettuali già conosciute, hanno un successo assicurato. Forse il pubblico, che pure dopo i vari lockdown ha dimostrato di recarsi ancora in massa al cinema per determinati film, ha iniziato ad abituarsi velocemente all’idea di relegare la visione dei film d’animazione allo streaming domestico? Si sta forse diffondendo l’idea che un film d’animazione non meriti quei 10€ di biglietto del cinema, se tanto dopo poche settimane è possibile recuperarlo in uno dei molti servizi streaming? O forse, e questo è il punto su cui volevo arrivare, l’animazione è sempre più vista come qualcosa di infantile, relegabile a determinate età, che soffre di stigmi sociali, che spinge adulti e ragazzi a evitarla, o a recuperarla nel privato. Oggi come oggi un film come Up sarebbe ancora in grado di incassare più di 700 milioni di dollari?

Ovviamente le risposte a queste domande non le ho. Possiamo solo osservare l’evolversi della situazione, in un mondo (quello dell’animazione) in continua evoluzione e capace di avere ancora così tanto da dire.

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