RECENSIONE | Dragon Trainer 3: Il mondo nascosto

La storia della DreamWorks Animation è tra le più scostanti tra quelle di tutti gli studios d’animazione americani.

Ad esempio dalla Pixar siamo ormai abituati ad un certo livello di creatività; e proprio per questa aspettativa innestata nel pubblico, a volte i progetti -come Brave o The Good Dinosaur– e certe decisioni -come l’intenzione di riempirci di sequel e prequel- non sempre vengono viste di buon occhio dai fans.

Prendiamo case come la Illumination o i Blue Sky Studios: quando si va a vedere un film realizzato da questi studios d’animazione, diciamocelo, sappiamo perfettamente cosa ci aspetterà (il più delle volte gag basate su rutti, scoregge o gente che si mena).

Non credo serva nemmeno citare l’esempio della Disney, visto che hanno impiegato decenni a crearsi e consolidarsi la fama che hanno, e quando vai a vedere un film Disney ti aspetti sempre che abbia qualcosa di diverso dagli altri.

Insomma, tutti tra i grandi realizzatori di lungometraggi animati (in America e non) si sono creati quella che potremmo definire fama, una nomea, che poi non è detto che venga rispettata. Non è nemmeno detto che sia vera o che non possano esserci sorprese sporadiche qua e là. Ma, tendenzialmente, ogni studios rimane fedele a determinati stili e stilemi, abituando il pubblico a un gusto personale.

Tutti tranne la DreamWorks.

Se andiamo a osservare la lunghissima libreria di titoli realizzati dalla famosa casa di produzione si passa da veri e propri capolavori, come l’epico Il principe d’Egitto o l’avvincente Galline in fuga, a rivoluzionari stravolgimenti del mondo dell’animazione con l’irriverente Shrek. Si è passati da roba insignificante come Giù per il tubo e Bee Movie, a nuove formule di comicità grazie a pellicole come Madagascar e Kung Fu Panda. Nella loro sfrenata e disperata corsa per rivaleggiare con il grande competitor Disney, la DreamWorks ha puntato sulla quantità, senza però sacrificare sempre la qualità. Insomma, sfornando decine e decine di ciambelle, poco importava se solo alcune uscivano col buco.

Nella loro ormai lunga storia, i DreamWorks Animation Studios non hanno mai dedicato troppa attenzione a dare un’impronta riconoscibile, un marchio di fabbrica, un qualcosa che, nel bene o nel male, ti facesse dire “questo è un film della DreamWorks”. Il fatto che ogni film potesse essere completamente diverso dai precedenti, tuttavia, è diventato in certo senso il loro vero segno distintivo. Dalla DreamWorks, ormai, è lecito aspettarsi qualsiasi cosa, e Dragon Trainer rispecchia perfettamente questo discorso.

Quando uscì il primo film di questa saga il successo fu immediato, ma non furono gli incassi (comunque molto alti per gli standard DreamWorks) a fare notizia. Fu l’unanime successo di critica e di pubblico per un film che nessuno si aspettava potesse risollevare le sorti del cinema d’animazione. Era il 2011 e i lungometraggi animati americani avevano visto tempi migliori: la Disney veniva da anni di flop e insuccessi e stava tentando di riguadagnarsi il pubblico disaffezionato, gli altri studi animati erano ancora agli albori e solo qua e là spuntavano piccoli film di successo (come l’Era Glaciale o Surf’s Up) e a contrastare il dominio della Pixar (questi erano gli anni in cui lo studio di Emeryville vinceva l’Oscar praticamente ogni anno), c’erano solo i film realizzati in Europa o in Giappone.

Bene con questo film la DreamWorks colpì fortissimo, e anche se questo non bastò a modificare il modus operandi dei vertici dell’azienda, che continua tuttora a puntare sulla quantità, sui sequel e via dicendo, il seme era stato piantato e in questi anni è germogliato.

Con la saga di Dragon Trainer la DreamWorks trova la volontà di affrontare con placida serenità temi maturi. Fin dal primo film vediamo il protagonista menomato, privo di una gamba, eppure questo non è mai motivo di shock perché tutto si affronta con maturità ma anche con leggerezza.

Ed è questa la vera caratteristica della saga di Dragon Trainer: parlare di cose che ci sembrano grandi ma che vanno ridimensionate. Come a volerci ricordare che i problemi nella vita sono altri e che non dobbiamo star qui a fare una tragedia per una gamba (o un’ala) spezzata.

Dragon Trainer 3 – Il mondo nascosto, coerentemente con questo modo di affrontare la vita e i suoi problemi, decide di concentrarsi maggiormente su tutto l’aspetto emotivo del film, non soltanto analizzando lo splendido rapporto tra Hiccup e Sdentato ma coinvolgendo in questo twist di emozioni anche gli altri personaggi che raramente abbiamo potuto apprezzare negli altri film.

Ecco dunque che Astrid diventa una vera co-protagonista, da una parte guida di Hiccup e dall’altra spalla che si sobbarca delle responsabilità del villaggio. Sarà grazie al ruolo della madre di Hiccup, Valka, che i due giovani riusciranno a gestire le nuove responsabilità e a capire come risolvere i problemi degli abitanti di Berk.

Anche il gruppo di comprimari in questo terzo capitolo guadagna spazio: tra tutti spiccano sicuramente Moccioso, infatuato di Valka, e i battibecchi tra TestaBruta e Testa di Tufo.

A fare le spese di questa scelta di scrittura è inevitabilmente l’antagonista del film, Grimmel, che qui non appare mai come vera minaccia (nonostante la sua crudeltà ci venga mostrata senza filtri nelle scene in cui uccide i draghi, ma la sua cattiveria ci appare lontana e non giustificata quindi perde di credibilità). Strano che gli autori abbiano sentito la necessità di inserire un nuovo villain in questo film, quando nel precedente capitolo Dragon Trainer 2 era presente Drago come antagonista, decisamente meglio approfondito e della cui morte non sappiamo nulla.

Dal punto di vista tecnico questo è senza alcun dubbio il miglior prodotto realizzato dalla DreamWorks: gli scenari sono finalmente all’altezza delle grandi produzioni americane, con punte di fotorealismo quasi estremo (che forse cozzano un po’ con i due precedenti film della saga), l’uso delle luci e le scene notturne sono stupefacenti. Il character design dei personaggi, vero tallone d’Achille degli animatori, qui è molto migliorato rispetto al passato, anche se le animazioni in certe scene non mi convincono ancora e credo che la DreamWorks rimanga indietro rispetto alle rivali Disney/Pixar per ciò che riguarda le movenze degli esseri umani (notoriamente la cosa più complessa da rendere a livello animato).

Di questo film difficilmente ci dimenticheremo del finale, forse per alcuni prevedibile ma senza alcun dubbio toccante e che non credo possa lasciare indifferente nessuno spettatore. Era lecito aspettarsi qualcosa di più dal regista Dean DeBlois e dallo staff che ha lavorato a tutta la saga? Forse sì, ma credo che questa sia stata la degna conclusione di questa splendido viaggio che è stato Dragon Trainer.

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