RECENSIONE | Il ragazzo e l’airone

Il ragazzo e l’airone è il 23° film dello Studio Ghibli (senza contare Nausicaä della Valle del vento, film realizzato prima della sua fondazione). Il ragazzo e l’airone è anche il 12° lungometraggio diretto da Hayao Miyazaki, al ritorno alla regia dopo 10 anni di assenza: era il 2013 quando uscì nei cinema di tutto il mondo Si alza il vento, che per molto tempo è stato definito non solo l’ultimo lavoro di Miyazaki, ma il suo testamento e la sua eredità, nonché il suo film più personale e ricco di riferimenti alla sua vita. Tutte definizioni che oggi, a 10 anni di distanza da Si alza il vento, possiamo facilmente utilizzare per parlare de Il ragazzo e l’airone.

Trama

La storia si apre nel 1943, a Tokyo, nel pieno della seconda guerra mondiale: Mahito, il ragazzo protagonista del film, viene svegliato dall’incendio che scoppia nel vicino ospedale dove lavora sua mamma Hisako. Il giovane corre disperatamente verso l’incendio, attraversa fiamme, ombre e figure indefinite nel vano tentativo di salvare Hisako che invece, in quell’incendio, morirà. Il padre di Mahito, il signor Shoichi, decide di risposarsi con Natsuko, la sorella minore della defunta moglie Hisako. Mahito e Shoichi lasciano quindi Tokyo, allontanandosi dalla guerra e trasferendosi nella villa di campagna della nuova moglie Natsuko, piena di domestiche e circondata dagli alberi. In questo luogo sperduto Mahito inizia lentamente ad elaborare il lutto della perdita della madre, cercando nello stesso momento di costruire un rapporto con la nuova figura materna incarnata dalla zia-matrigna.

Ben presto il lento scorrere delle giornate viene interrotto da una serie di misteri: un airone cenerino inizia a perseguitare Mahito, che, inseguendolo, si avventura nei dintorni della villa. Scopre così le rovine di un’antica torre abbandonata che, stando al racconto delle domestiche, è stata costruita da un suo vecchio prozio. Pochi giorni dopo Mahito trova nella sua stanza una copia del romanzo “E voi come vivrete?” annotato dalla madre, che probabilmente avrebbe voluto regalarglielo quando fosse diventato abbastanza grande. Non fa in tempo ad addentrarsi nella lettura che viene interrotto dalle domestiche della villa, preoccupate nella ricerca di Natsuko (incinta del signor Shoichi).

In quel momento Mahito vede la matrigna allontanarsi in direzione della torre e decide di inseguirla, accompagnato dalla domestica Kiriko. Qui riappare l’airone, il quale informa Mahito che dovrà intraprendere un lungo viaggio se vorrà salvare la zia.

L’ultimo film di Miyazaki

Miyazaki ci ha abituato a tante cose nel corso della sua carriera, tra cui l’annuncio del suo imminente ritiro dal mondo del cinema. Ritiro che puntualmente, nel giro di poco tempo, viene smentito.

Si alza il vento, Hayao Miyazaki, 2013

A margine della promozione di Si alza il vento nel settembre 2013, durante una conferenza stampa alla Mostra del cinema di Venezia, Miyazaki annunciò di volersi ritirare dalla produzione di lungometraggi d’animazione. All’epoca il regista aveva già compiuto 72 anni, aveva già ottenuto una quantità incredibile di riconoscimenti culminati non solo con il premio Oscar al Miglior film d’animazione nel 2003 con La città incantata, ma anche con il Premio Oscar onorario nel 2015. In quella occasione quindi, a margine dell’uscita di un film definito come “il testamento di Miyazaki”, la notizia del suo ritiro appariva se non del tutto credibile quantomeno plausibile.

Nel 2016, tre anni dopo, venne distribuito sul canale giapponese Nippon Hōsō Kyōkai un documentario dal titolo Never-Ending Man nel quale veniva rivelato in esclusiva che Hayao Miyazaki non solo era intenzionato a realizzare nuovamente un lungometraggio d’animazione, ma che per produrlo sarebbero stati necessari più di cinque anni di lavorazione, tempistiche che col senno di poi non vennero rispettate. Gli ostacoli per la realizzazione di questo progetto furono, fin da subito, molteplici: innanzi tutto l’ultimo film d’animazione in tecnica tradizionale dello Studio Ghibli era Quando c’era Manie, film del 2014.

La storia della Principessa Splendente, Isao Takahata, 2013

Quello fu l’ultimo film dello studio prima dell’annuncio di una temporanea chiusura, causata soprattutto dagli scarsi incassi del film di Isao Takahata La storia della Principessa Splendente, ma anche dall’annunciato ritiro dalle attività cinematografiche di Miyazaki stesso, avvenuto appunto un anno prima.

Con lo Studio Ghibli temporaneamente chiuso molti animatori migrarono verso il neonato Studio Ponoc, fondato il 15 aprile 2015 da Yoshiaki Nishimura e Hiromasa Yonebayashi, entrambi volti e collaboratori storici di Miyazaki.

Hiromasa Yonebayashi

L’entusiasmo per il ritorno al lavoro di Miyazaki era dunque controbilanciato da problemi come la mancanza di animatori e uno Studio Ghibli non propriamente in ottima forma, in più a rallentare ulteriormente la lavorazione ci si mise anche la pandemia di COVID-19 che paralizzò quasi completamente la produzione nel corso del 2020.

Yoshiaki Nishimura

Al film non vennero imposti né limiti di tempo né di budget, tanto che il produttore Toshio Suzuki affermò durante un’intervista che Il ragazzo e l’airone sarebbe stato, probabilmente, il film più costoso mai realizzato in Giappone. Inoltre lo Studio Ghibli ricevette aiuto proprio dallo Studio Ponoc per ultimare le animazioni, mentre gli alti costi dovuti ai continui rallentamenti nella produzione spinsero il produttore Suzuki a trovare nuovi accordi commerciali con piattaforme di streaming sulla distribuzione degli altri prodotti del catalogo. Se in generale la realizzazione di un film d’animazione è una storia affascinante, piena di sviluppi che ne bloccano, rallentano oppure permettono la nascita, per questo film si è assistito ad una vera e propria mobilitazione di animatori, produttori ed ex collaboratori come non se ne vedevano da anni, il tutto in nome di Hayao Miyazaki e del film considerato come il suo testamento all’umanità.

Un viaggio onirico

Ovviamente con questi presupposti le aspettative verso Il ragazzo e l’airone erano altissime. Eppure Miyazaki ancora una volta è riuscito a sorprenderci e, per certi versi, superarsi, con un film che dice tanto del suo autore pur parlando pochissimo e utilizzando un linguaggio che per molti risulta, a tratti, difficile da comprendere fino in fondo.

Uno dei punti di forza di questa pellicola, come di tutta la cinematografia di Miyazaki, è la capacità di conferire ad un film d’animazione un taglio autoriale: Il ragazzo e l’airone, più di quanto visto in altri film di Miyazaki, non è accondiscendente nei confronti dello spettatore, non lo guida nei meandri della sua poetica, dei suoi simboli e delle sue allusioni. Mentre la maggior parte dei registi rincorre il pubblico nel tentativo di essere “pop”, o di ritagliarsi una fetta di mercato cercando di avere successo, Miyazaki sembra non porsi minimamente di questi problemi. Sta a noi, osservatori della sua arte, decidere se compiere quello sforzo richiesto nel varcare la soglia della sua immaginazione.

Miyazaki è a tutti gli effetti un regista unico nel suo genere, capace di avere su di sé l’aurea del maestro, il massimo esponente delle incredibili possibilità che l’animazione giapponese è in grado di offrire, culminate con quello che è probabilmente il suo capolavoro. Il rapporto quasi simbiotico con il suo pubblico, cresciuto e maturato ben al di fuori dei confini giapponesi, e che ne ha appoggiato il lavoro in modo compatto negli anni, ha permesso al maestro di ottenere una totale libertà, che la maggior parte dei suoi colleghi non può vantare.

La pluridecennale carriera di regista, iniziata nel 1979 col film Lupin III – Il Castello di Cagliostro, insieme al suo lavoro come disegnatore iniziato ancora prima, trova ne Il ragazzo e l’airone la sintesi più riuscita di tutta la sua filmografia. Mai come in quest’ultimo suo lavoro si sono sprecati i riferimenti ad opere, quadri o film che hanno suggestionato, influenzato o ispirato il lavoro del maestro, o che quantomeno hanno dato agli spettatori elementi iconografici di riferimento nel viaggio compiuto da Mahito.

Porco Rosso, Hayao Miyazaki, 1992

Inoltre, se da un lato ritroviamo quelli che sono gli stilemi tipici del cinema di Miyazaki, è altresì evidente che in questo film c’è una componente personale che è impossibile non percepire, come tanti piccoli elementi che presi singolarmente potrebbero non dire molto ma che insieme gettano una luce diversa su tutto il film: come il padre di Miyazaki, anche il padre di Mahito lavora come ingegnere aeronautico, lavoro che scatenò una delle più grandi passioni di Miyazaki (passione che possiamo ritrovare in numerosi film del regista, in particolare in Porco Rosso ma, soprattutto, in Si alza il Vento). Come il padre di Miyazaki, anche il padre di Mahito si sposa con la sorella della defunta moglie e proprio la seconda moglie sarà la madre di Miyazaki. Essendo questo un film di formazione, è lecito dunque intravedere in Mahito la formazione che il regista ha sperimentato nel corso della sua vita, oltre agli interrogativi che evidentemente, in questo momento della sua vita, Miyazaki si pone: quale sarà il suo lascito? Cosa rimarrà dello Studio Ghibli, da lui fondato insieme a Isao Takahata? Una delle scene conclusive de Il ragazzo e l’airone, in cui il mondo creato dal vecchio prozio di Mahito inizia a collassare su sé stesso sembra effettivamente una premonizione del mondo immaginifico dello Studio Ghibli pronto a spegnersi una volta che il maestro giapponese non ci sarà più.

E voi come vivrete?

E voi come vivrete?”, oltre ad essere il titolo originale del film, ed essere il romanzo di Genzaburō Yoshino che ha ispirato il regista, è la grande domanda che accompagna, come un filo rosso, tutta la pellicola, culminando con la scena dell’incontro tra Mahito e il suo prozio.

Ad ottobre del 2021, Miyazaki, durante un’intervista, affermò di aver voluto creare questo film perché non aveva una risposta alla domanda del titolo.

E tu, come vivrai? Quali scelte prenderai? Come affronterai la vita? Come dicevo, questo film racconta molto del suo regista: l’urgenza di dirigere e di raccontare questa storia è ciò che ha spinto Miyazaki a lavorare per quasi 8 anni a questo progetto, di rimettersi alla regia e portare a compimento questo film a quasi 83 anni di età.

E così quella che per il regista è stata una necessità irrinunciabile, ovvero quella di porsi domande fondamentali sul senso della vita, diventa l’interrogativo su cui culmina il viaggio di Mahito e dello spettatore.

Al termine del film, quando ormai siamo convinti che nel personaggio di Mahito si racchiuda la rappresentazione di Miyazaki posto dinnanzi a quegli stessi interrogativi, ecco che la figura del vecchio prozio rimescola le carte: che sia invece lui, il vecchio prozio, costruttore di quel mondo fantastico la rappresentazione di Miyazaki?

La scelta, ancora una volta, è solo nostra. Vogliamo legare Miyazaki al personaggio di Mahito, che affronta il lutto della morte della madre e della ricerca del suo posto nel mondo? O vogliamo invece associare Miyazaki al personaggio del vecchio prozio, l’architetto in cerca di un erede che vede il suo mondo crollare come Miyazaki ha visto (quasi) crollare lo Studio Ghibli in crisi di identità? Magari nessuna di queste interpretazioni è quella giusta, magari semplicemente non esiste un’interpretazione giusta.

Trovo stupefacente che un film la cui storia può essere riassunta in poche parole (un ragazzo insegue la matrigna in un mondo fantastico per salvarla) racchiuda una potenza di significato talmente vasta che ciascuno di noi può letteralmente trovarci quello che sta cercando.

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