RECENSIONE | Up

Stento a credere che esista al mondo qualcuno che non ha mai visto Up.

E stento perfino a credere che esista qualcuno a cui non sia piaciuto. Almeno qualcuno munito di un cuore e di un cervello.


Si perché in questo vero capolavoro firmato Peter Docter non manca nulla: commedia, dramma, avventura, tutto calibrato in modo accurato per dare soddisfazione ad ogni tipo di spettatore che viene sapientemente e forse anche inconsciamente posto davanti a importanti temi, alcuni dei quali mai affrontati da un film d’animazione statunitense.

Carl Fredricksen, protagonista del film, ci viene rappresentato come un bambino affamato di sapere e di avventura, che incontra, nella memorabile sequenza iniziale del film, la sua anima gemella Ellie. Lei, frenetica ed entusiasta per ogni cosa, diverrà moglie e figura centrale della vita di Carl. La promessa fatta da bambini di raggiungere le Cascate Paradiso, di vivere una vita piena di avventure, di riempire l’album fotografico con i resoconti delle loro gesta, però, viene meno alla quotidianità della vita, e anno dopo anno viene dimenticata.

Ellie muore, portando via con sé l’arcobaleno di colori iniziale e il silenzio di Carl. Se i primi vengono sostituiti da immagini polverose di cantieri che attanagliano la villetta dell’ormai anziano Carl, egli ritrova la voglia di parlare rivolto proprio alla sua casetta, personificata in Ellie.

È molto bello il modo in cui viene affrontato il legame tra Carl e gli oggetti della sua casa: aver scelto di affidare le sorti del film ad un anziano permette infatti di approfondire quei significati che acquistano tutte le cose, i ricordi, nelle nostre vite. Carl non è semplicemente possessivo perché materialista, come si potrebbe pensare in un primo momento dalle sue manie compulsive di ordine e pulizia. Egli con quegli oggetti e con quella casa, rivive i giorni, le gioie e i dolori avuti con Ellie.

Tema portante del film è la morte. Non la paura della morte in sé quanto più manifestazione dei sentimenti di abbandono o solitudine che da essa ne nascono. Carl è infatti solo, abbandonato a sé stesso, dimenticato dalla società che arriva a rigettarlo e che lo spingerà all’esilio.

Impossibile poi dimenticarsi di una figura come quella di Russel, il piccolo postino coprotagonista della scena del film e vero detonatore della rivoluzione di Carl. Se infatti il vecchio venditore di palloncini, alla fine del film, riesce a trovare nuovamente la serenità capendo cosa sia davvero importante nella vita per essere felice, il merito è proprio del giovane Russel, che si conquista il posto di capo comico in un film che presenta più di una figura ironica.

Avrei altre ottocentomila parole da dire su Up, le quali si sommerebbero alle infinite che già sono state scritte in passato, ed è bene che concluda prima di diventare prolisso. È solo che quando un film non soltanto è bello, ma pure particolarmente speciale per te, capita questo ed altro.

2 Risposte a “RECENSIONE | Up”

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