RECENSIONE | The Willoughbys

Partiamo da alcuni dati di fatto. In primo luogo il mondo del cinema sta subendo profondi mutamenti e sta attraversando uno dei suoi momenti più incerti e drammatici. Il concetto di intrattenimento sta assumendo connotati inediti e Netflix, essendo per ovvie ragioni la realtà più preparata, sta riuscendo ad emergere in un contesto che sta vedendo un numero sempre crescente di sconfitti. Il “modello Netflix”, ovvero la visione di contenuti in solitaria ed in ambito strettamente familiare, o meglio, in modalità domestica, sembra ciò verso cui verremo sempre più proiettati in futuro, a discapito della visione in collettività dei film nei cinema.

Il secondo fatto: Netflix è ormai entrata di prepotenza nel mondo dell’animazione. Dopo aver prodotto e distribuito sulla sua piattaforma streaming numerose serie tv animate di grandissimo successo, e dopo aver ottenuto ben due nomination all’ultima edizione dei premi Oscar nella categoria di Miglior film d’Animazione con Dov’è il mio corpo e Klaus (entrambi titoli che hanno riscosso ottimi giudizi sia di pubblico che di critica), per Netflix ora è forse giunto il momento più complicato: quello di confermarsi come una nuova voce nel panorama dell’intrattenimento.

Perché se è vero che i primi lungometraggi animati prodotti dalla piattaforma sono stati accolti in maniera entusiasta, ribadire il proprio spazio è ora diventata la principale urgenza per la neonata Netflix Animation.

La relativa giovane età del reparto d’animazione di Netflix, inoltre, può essere un altro valore aggiunto, e va ad inserirsi in un contesto che vede il modello del classico studios americano un po’ in crisi. Dopo la fine del monopolio Disney nel settore dell’animazione intorno ai primi anni 2000, gli studios nati in quel periodo hanno fin da subito scelto di delineare un proprio stile definito: ecco che Pixar è diventata sinonimo di genialità, i Blue Sky Studios e Illumination Entertainment hanno fatto della commedy il loro marchio di fabbrica, mentre la DreamWorks si è imposta come modello anti-Disney. Se questa strategia è stata vincente nel breve periodo, consentendo a tutti gli studios di spartirsi fette di pubblico in base al genere di prodotto realizzato, sul lungo periodo si sta rivelando una specie di gabbia, limitando le storie e anche il modo di raccontarle.

È bene tenere presente questi elementi nel parlare di questo nuovo film, tenendo a mente che questa incredibile libertà creativa ha le potenzialità per rivelarsi uno strumento preziosissimo per Netflix, ha garantito la nascita di uno luogo in cui le idee non vengono frenate e la diversificazione incentivata, senza quei vincoli limitanti che hanno gli altri studios cinematografici più classici.

Diretto da Kris Pearn e co-diretto da Cory Evans e Rob Lodermeier su una sceneggiatura scritta dello stesso Pearn insieme a Mark Stanleigh, The Willoughbys è tratto dal libro per bambini scritto da Lois Lowry. La storia racconta dei quattro fratelli Willoughby che crescono con genitori decisamente poco affettuosi: quando un neonato viene abbandonato davanti alla porta della loro casa, il piccolo Tim, la sorella Jane e i gemelli Barnaby decidono di diventare anche loro orfani. Per sbarazzarsi dei genitori elaborano un piano per spedirli in vacanza in giro per il mondo, viaggio però che si dimostrerà essere potenzialmente letale. Ben presto i quattro fratellini, con l’aiuto della Tata e del Comandante Melanoff, scopriranno che il significato del concetto di famiglia è ben più ampio di quello che pensano e tenteranno di porre rimedio alle loro azioni.

Qual è dunque l’esito di questa seconda prova targata Netflix? Ha senso mettere a confronto questo film con Klaus?

Sotto certi aspetti paragonare questi due film può diventare inevitabile, in fondo sono i primi grossi progetti animati di Netflix. Tuttavia ho trovato questi due film diametralmente opposti sotto molteplici aspetti, uno su tutti la struttura narrativa.

The Willoughbys mi ha ricordato molto la serie Netflix Una serie di sfortunati eventi. L’arredamento della casa in cui abitano è kitsch ed esagerato, i protagonisti sono un gruppo di fratelli che lottano per la sopravvivenza, c’è il tema dell’abbandono, ci sono figure genitoriali e autoritarie pessime che attentano costantemente alla vita dei bambini. La stessa struttura del film, quasi episodica, mi ha ricordato la serie TV, compreso un alone di malinconia che perdura fino alla fine della storia, complice forse un sentimento di solitudine e abbandono che coinvolge i giovani protagonisti in entrambe le storie.

In alcuni momenti The Willoughbys sembra quasi la commedia degli orrori, l’idea stessa che i fratellini decidano di mandare a morire i genitori per diventare orfani, sulla carta, è quantomeno agghiacciante, per non voler sollevare il discorso sui genitori stessi, i quali hanno tra loro un rapporto morboso e i cui tratti somatici così simili fanno pensare ad una qualche forma di incesto parentale. Tutti elementi con cui lo spettatore viene involontariamente bersagliato e che spalancano le porte ad un’abbondante stratificazione di livelli di lettura.

Ciò che gioca maggiormente a sfavore in questo film, forse, è proprio una mancata linearità della trama, un’alternanza eccessiva del ritmo e degli obiettivi poco chiari dei personaggi. Se fino a metà film le intenzioni dei fratelli Willoughbys sono chiare, ben presto lo spettatore viene sballottato da un evento all’altro senza che gli sia chiaro dove il film voglia andare a parare.

Tuttavia il lavoro sui personaggi è davvero ottimo ed uno dei punti di forza del film sta sicuramente nella caratterizzazione: i quattro fratelli hanno ciascuno un tratto specifico e sono spinti, almeno all’inizio del film, da motivazioni differenti. Tutti e quattro trascinano la trama in un’unica direzione ma con intenzioni diverse: Tim vuole dimostrare di essere all’altezza delle aspettative che pesano su di lui, sul fatto di essere l’erede di una famiglia dal passato glorioso, Jane vuole proteggere la neonata abbandonata sulla porta di casa e vuole riscattare la sua condizione di sottomissione ai genitori dispotici e i due gemellini sono semplicemente geniali, con lo stesso identico nome e con un solo maglione da dividere in due come costante monito di quanto i genitori siano inadeguati, egoisti ed egocentrici.

Tra i tanti temi che ho riscontrato in questo film uno in particolare mi ha colpito, ovvero l’ironia sulla sedentarietà della vita di coppia: i due genitori non solo sono degli individui pessimi e sgradevoli ma anche tremendamente impigriti dalla routine della vita matrimoniale e spaventati da ogni cosa che possa in qualche modo interferire col loro equilibrio, che sia un depliant di viaggio o un estraneo che bussa alla porta. Per questo la loro prima reazione all’idea di lasciare il loro nido d’amore e partire per la vacanza è di rigetto e paura, per questo la loro casa appare sospesa nel tempo, incastonata tra grattaceli moderni come la casetta di Carl Fredricksen in Up.

Il look del film è qualcosa di molto diverso rispetto a quanto visto in Klaus, che gli si differenzia non solo per quello che concerne la trama. Il design dei personaggi è stato ideato dal disegnatore Craig Kellman, uno dei più importanti artisti nel campo dell’animazione che ha definito i tratti dei personaggi animati in film come Madagascar per i Dreamworks Animation Studios, Hotel Transylvania della Sony Pictures Animation e La famiglia Addams per la Metro-Goldwyn-Mayer. Anche la scelta delle palette di colore usata per i Willoughbys lo differenzia notevolmente rispetto a quanto visto in Klaus. Eppure c’è qualcosa, in questi due prodotti targati Netflix, che li collega, qualcosa che rimbalza da un film all’altro, ed è proprio nella tecnica animata utilizzata.

Simili, ma non identiche, le due tecniche hanno cercato di rielaborare l’immagine in 2D, quindi quella dell’animazione tradizionale, con le moderne tecnologie in computer grafica: se in Klaus alla base dell’animazione del film ci sono i disegni tradizionali, e grazie a dei software specifici utilizzati in quel film la luce e i colori conferiscono un look tridimensionale, in The Willoughbys quella messa in campo è una tecnica in computer grafica che tenta di ricreare in digitale le stesse atmosfere e gli stessi look di un film animato in tecnica tradizionale. Ecco quindi, di nuovo, che Netflix si fa portavoce di un modo diametralmente opposto di realizzare progetti animati rispetto ai classici studios americani. È vero che la tecnica utilizzata in questo film era stata pianificata fin da subito dalla Bron Animation, lo studio canadese che ha realizzato il film, ben prima che Netflix venisse coinvolto nella sua distribuzione. Tuttavia è lampante come il colosso dello streaming stia mettendo in campo una strategia attenta e intelligente, pronto a dare spazio alle diverse voci e le diverse visioni del cinema d’animazione che non trovavano spazio fino a poco tempo fa.

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