RECENESIONE | Onward

La Disney ha affrontato innumerevoli volte il rapporto tra fratelli e il rapporto tra sorelle (basti pensare a film come Lilo & Stitch, Koda Fratello Orso, Big Hero 6, Frozen), rendendolo, di fatto, un elemento presente nei loro film quasi quanto il tema del lutto dei genitori: in Frozen il rapporto tra Anna ed Elsa subisce le ripercussioni della morte dei genitori e buona parte del film ruota attorno alla rielaborazione del senso di responsabilità di Elsa nei confronti della sorella (e viceversa), anche in Lilo & Stitch le due sorelle orfane ci vengono mostrate nella loro faticosa routine ed il personaggio di Nani lotta contro gli assistenti sociali per mantenere l’affidamento della sorellina Lilo. In Big Hero 6 il protagonista Hiro vede nei confronti del fratello Tadashi il proprio punto di riferimento, colui che più di tutti lo indirizza sulla retta via, a discapito del ruolo di tutore della zia che, a conti fatti, lo cresce e che si preoccupa per lui come una mamma adottiva, in Koda Fratello Orso Kenai si lascia guidare dallo spirito guida del fratello ed è solo seguendo i suoi insegnamenti che riesce ad evolversi e maturare, diventando (letteralmente) un uomo.

Se dalla Disney il rapporto di fratellanza e sorellanza è quindi già stato abbondantemente sviscerato in più di un’occasione e con ottimi risultati, dai Pixar Animation Studios questo tipo di legame non era mai stato il perno della narrazione, ed in rarissimi casi abbiamo avuto dei protagonisti con fratelli o sorelle, il cui rapporto è comunque sempre stato abbastanza marginale ai fini della storia.

Proprio nei mesi di uscita al cinema di Frozen 2, uno dei più attesi film d’animazione dei nostri tempi, quel film che si riprometteva di affrontare più nello specifico il rapporto tra le due sorelle ha, sotto alcuni punti di vista, deluso le aspettative, mentre Onward, per alcuni considerato un Frozen al maschile, giunto sugli schermi in sordina, ha trasversalmente colpito tutti gli spettatori per la capacità di delineare i tratti di un rapporto familiare così abusato nelle sceneggiature ma reso, in questo film, in maniera tanto realistica e credibile.

Come da abitudine, anche in questo film la Pixar prosegue con la sua tradizionale creazione di mondi e quello di Onward è magico e abitato da creature mitiche. Un tempo, in questo mondo, la magia era all’ordine del giorno e i pochi in grado di controllarla venivano rispettati. Tuttavia, a causa della difficoltà nel padroneggiarla e dei progressi tecnologici nel corso degli anni, l’uso della magia divenne obsoleto e lentamente quella componente magica è andata perduta nei secoli.

Passiamo ai giorni nostri, per così dire, e conosciamo Ian e Barley, due fratelli elfi: Ian è un liceale privo di fiducia in sé stesso mentre Barley è un appassionato di giochi di ruolo e fanatico storico che conosce ogni singolo incantesimo che esisteva in passato. Scopriamo che poco prima della nascita di Ian, il padre Wilden è morto a causa di una grave malattia, lasciando la loro madre sola coi due figli da crescere. La mancanza del padre ha segnato tutta la vita di Ian che, negli anni, è arrivato a idealizzarne un po’ la figura, ma proprio nel giorno del suo sedicesimo compleanno sua madre gli consegna un regalo da parte del padre: un bastone magico, una pietra rara e una lettera che descrive un “incantesimo di visita” che può far risorgere Wilden per 24 ore.

Scatta così la disperata corsa contro il tempo dei due fratelli per riuscire a riavere il padre con loro per un ultimo giorno, un viaggio che porterà i due fratelli a scoprire di più di loro stessi, alla ricerca di quell’ultimo spiraglio di magia che può far avverare l’incantesimo e far conoscere a Ian suo padre.

A dirigere quest’ultima pellicola Pixar troviamo Dan Scanlon, nome che probabilmente alcuni di voi ricorderanno per aver diretto, sempre per la Pixar, Monster Univeristy ma che da decenni lavora nel mondo dell’animazione. Il suo primo incarico di rilevo, infatti, è stato per Pocahontas II film per il quale ha lavorato nell’animation department. Nel 2000 si divide tra la Disney (La Sirenetta II – Ritorno agli abissi) e DreamWorks Animation (Giuseppe e il re dei sogni). Dopo una serie di impieghi nei sequel direct-to-dvd dei più celebri Classici Disney, Scanlon passa ufficialmente ai Pixar Animation Studios nel 2006, lavorando prima al film Cars Motori ruggenti per poi collaborare alla maggior parte dei film dello studio di Emeryville.

Ad aver gettato le basi di questa storia, rendendo ancora più toccante la trama del film e le vicissitudini che coinvolgono i due giovani fratelli qui protagonisti, è proprio il contributo di Scanlon: ciò che ha scaturito la nascita di Onward è stata l’esperienza del regista Dan Scanlon che da giovanissimo ha subito il lutto del padre e ha avuto un rapporto molto stretto col fratello. Due elementi che vengono trasportati in maniera molto personale in questo film e che sono, di fatto, il perno su cui ruota la narrazione.

Ian, a conti fatti il protagonista del film, non ha una gran considerazione del fratello maggiore. Lo reputa frivolo, a tratti troppo eccentrico ed eccessivamente nerd. Il fatto di aver perso il padre da neonato lo pone in una situazione di svantaggio rispetto al fratello: almeno Barley ha potuto vivere qualche anno in più col padre, avere dei ricordi di lui come il suono della voce o della risata. Ian no, vorrebbe potersi confrontare con quel padre che non ha mai avuto la fortuna di conoscere, sogna che sia lui a dargli lezioni di guida o consigli nei momenti del bisogno, invece deve affrontare la vita di tutti i giorni da solo. O meglio, così crede, dato che a vigilare su di lui c’è sempre Barley, ma questo aspetto emerge poco per volta nel film. Ian appare forse eccessivamente critico nei confronti degli altri, ma lo è molto anche nei propri confronti e questo fa scaturire una profonda insicurezza anche nel momento in cui , ad esempio, scopre di possedere dei poteri magici. Questi elementi danno una discreta profondità al personaggio, gettando le basi per un carattere costantemente titubante e tentennante, che deve maturare molto durante il film.

Dall’altra parte c’è Barley, il gigante buono verrebbe da chiamarlo. Un personaggio che racchiude in sé numerose figure archetipiche della struttura tipica di un film. Christopher Vogler, sceneggiatore statunitense famoso per aver scritto il celebre saggio Il viaggio dell’eroe, afferma che in un racconto esistono 7 principali archetipi, ovvero figure con determinate caratteristiche che muovono la trama di un film verso una precisa direzione. La particolarità del personaggio di Barley sta nel fatto che dei 7 archetipi principali elencati da Vogler egli ne rappresenti ben 3:

  • Barley è il Mentore, ovvero la guida che aiuta, allena o istruisce l’eroe. Gli procura doni, lo convince o sospinge nell’avventura. Il mentore è una persona saggia, un maestro, che se non sa qualcosa la impara, per poi trasmetterla all’eroe. Barley è colui che conosce gli incantesimi e le leggende del passato, che sa interpretare i simboli che i due incontrano sul cammino. Eppure non ha poteri, deve trasmettere a Ian la propria conoscenza per poterlo fare evolvere al livello successivo o avanzare alla successiva tappa sulla mappa.
  • Barley è il Guardiano della soglia, colui che mette alla prova l’eroe, che ne sonda le volontà e le rinforza. Ha a che fare con i demoni interni dell’eroe (con la funzione psicologica della nevrosi). Per Ian, Barley è il simbolo di ciò che non ha mai potuto avere, il tempo passato col padre (e, se avete visto il film, capirete quanto per Ian il sacrificio finale sia estremamente sofferto sotto questo punto di vista). Barley diventa quindi colui che riporta Ian alle sue ferite emozionali, ai limiti che si pone da solo.
  • Barley è l’Imbroglione, ovvero la spalla goliardica. La figura dell’Imbroglione per Vogler non è di qualcuno “che imbroglia” semmai di qualcuno che crea contrattempi e che stimola cambiamenti. È un’energia spesso infantile, spesso incarnata in un personaggio con caratteristiche di confusionario, nemico dello status quo, dell’ipocrisia e dell’egocentrismo. Barley è un vero casinista, guida un furgone sgangherato, sembra vivere alla giornata e risolve i problemi con altri problemi. Il suo è un personaggio che offre momenti di distensione e comicità prima di un’impresa.

Se però i due personaggi principali risultano così articolati e complessi, non possiamo dire altrettanto dei personaggi di contorno, uno su tutti quello di Laurel, la madre. Nonostante sia protagonista attiva di numerosi momenti e le sia stato dedicato un minutaggio di tutto rispetto per quanto riguarda la durata, il personaggio risulta estremamente superficiale e poco approfondito, forse a causa del fatto che al centro della narrazione c’è proprio il rapporto tra i due fratelli e il padre.

È un peccato, sotto un certo punto di vista, che si sia deciso di sacrificare in questo modo la figura di Laurel visto quanto invece è significativo il legame che unisce Ian e Barley. Mi sarebbe piaciuto vedere che a questa mamma (che ha cresciuto da sola due figli) venisse dato qualche merito, in virtù del fatto che i due figli in questione hanno ottimi valori e sono mossi da sani principi: ragionandoci Ian e Barley anche quando si scontrano con la polizia o mettono in pericolo le loro vite lo fanno per un bene superiore, il che è prova di grande maturità. Evidentemente Laurel è stata una brava mamma, anche se non ci viene detto. Mi è piaciuto com’è stato reso il suo compagno, il poliziotto Colt, lontano dagli stereotipi del classico patrigno che continuiamo a trovare nei film d’animazione. Tuttavia anche lui soffre di poco spessore come tutti i personaggi di sfondo.

Non mi dilungo più di tanto sul fatto che la Pixar abbia inserito un personaggio LGBT in questo film in quanto l’ufficiale Spencer, il personaggio in questione, è talmente insignificante ai fini della trama e ha così poco spazio nel film che i paesi in cui vigono governi omofobi hanno facilmente risolto il problema eliminando mezza battuta. Sinceramente trovo questi gesti pochissima cosa da parte della Disney, non credo che la comunità LGBT possa sentirsi in qualche modo rappresentata da una poliziotta omosessuale che in una battuta di mezzo secondo parla di sua moglie.

Detto questo, ad Onward vanno dati anche i giusti meriti. Oltre allo splendido rapporto tra Ian e Barley, sicuramente la cosa che maggiormente mi ha appagato, a far scorrere fluidamente le quasi due ore di durata sono state anche le geniali trovate che gli artisti e gli animatori Pixar si sono inventati per questo film. La Pixar si conferma ancora una volta maestra nella creazione di mondi alternativi, con una struttura estremamente solida che, come da abitudine, parte dal classico “what if…” e da quel mondo che in un primo momento può apparire distante sa rappresentare problemi e contesti delle nostre vite: il rapporto con la tecnologia visto ne Gli Incredibili 2, ricorda tremendamente il potere dei new media e dei social che viviamo sulla nostra pelle ogni giorno, i cambiamenti climatici visti nel futuristico WALLE stanno diventando giorno dopo giorno più plausibili, Monsters & Co. è un lungo manifesto contro gli stereotipi di genere e il razzismo.

Se Onward è inferiore ad altri film Pixar, non lo è certamente nell’abilità di creare contesti solidi in cui si svolge l’azione, avendo creato una mitologia così strutturata e solida.

L’abbandono della magia a favore della tecnologia che vediamo in Onward in un primo momento ricorda la scelta della comodità per l’abbandono dell’istinto naturale, un po’ come gli uomini obesi di WALLE che si muovono sulle poltrone e non si ricordano più nemmeno come si cammina con le gambe. In Onward il carburante che muove i personaggi del film è il bisogno di trovare la magia nel mondo, un po’ come il bisogno intrinseco di noi che cerchiamo la bellezza nelle nostre grigie giornate.

Inoltre, la Pixar continua a raccontarci a suo modo il tema del ricordo e dell’abbandono. Dopo Inside Out, Coco e la saga di Toy Story, anche in Onward viene sviscerato questo sentimento, riprendendo il tema dell’elaborazione del lutto, mostrandoci la solitudine di chi rimane, di chi è costretto a lasciar andare e trovare la forza di convivere col vuoto.

Forse possiamo finalmente affermare che in questo film ci troviamo nel pieno di una nuova era della Pixar: ormai sono passati gli anni in cui sapevi che un film di questo studios era un capolavoro ancor prima di vederlo al cinema. Ora siamo più vigili, e forse anche più critici nei confronti di chi ha saputo creare capolavori come Alla ricerca di Nemo, Toy Story o Ratatouille. La Pixar degli ultimi anni ha commesso errori, ha realizzato pellicole meno riuscite e spremuto all’inverosimile le sue proprietà. Eppure, sebbene quest’ultimo film, come Coco, soffra certamente di uno scontro con i primi lungometraggi animati divenuti ormai dei classici ed entrati di diritto nei nostri cuori, credo si possa affermare senza indugi che è Onward l’ennesimo, ottimo film realizzato dalla Pixar.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.