RECENSIONE | Oltre le nuvole, il luogo promessi

Ci sono film verso cui si prova un amore incondizionato, totale, capace di durare al trascorrere del tempo e di restare immutato col passare delle visioni. Ci sono film così terribili che nemmeno sono in grado di farci dormire al cinema, che fin dalla prima visione ci indispongono, ci infastidiscono al punto da sembrare insignificanti o, peggio ancora, ci restano pressoché indifferenti.

Esiste però una linea grigia nel mezzo. Ci sono film che hanno bisogno di tempo per sedimentare, che vanno accettati più che capiti, che ci parlano più coi dialoghi non detti o con le immagini non mostrate, che iniziano a carburare dopo numerose visioni, o dopo anni, quando magari siamo maturati o siamo in una fase diversa della nostra vita. Sono comunque film che si fanno strada nella nostra mente, nei nostri ricordi, si fossilizzano lentamente e se anche ad una prima visione, magari da adolescenti, non ci avevano colpiti significativamente, qualcosa ce lo avevano trasmesso ed era rimasto dentro di noi.

In questa mia personalissima classificazione dei film, Oltre le nuvole, il luogo promessoci rientra nella terza categoria, la “zona grigia”.

La primissima volta che vidi questo film ero fresco fresco della visone galvanizzante di Your Name. e dei successivi lavori di Makoto Shinkai. Come molti altri anche io mi interessai della filmografia del regista giapponese solo dopo aver visto l’acclamato film del 2016, e quindi solo in un secondo momento andai a ripescare i suoi precedenti lavori. Arrivavo a questa pellicola conoscendo la maggior parte dei suoi film, compresi alcuni dei suoi lavori minori o cortometraggi, come La voce delle stelle o Someone’s Gaze e tutto questo influì negativamente sul primo giudizio che mi feci di Oltre le nuvole. Giudizio che, come capita per i film della “zona grigia”, col tempo è decisamente mutato.

La storia si svolge in un’ucronìa, un universo alternativo in cui il Giappone, dopo aver perso la seconda guerra mondiale, è stato territorialmente occupato in parte dalla Russia e in parte dagli Stati Uniti d’America. Solo negli anni novanta il paese viene riunito ad eccezione della città di Hokkaidō che rimane occupata dai sovietici, i quali costruiscono quella che appare come una torre smisuratamente alta ma che in realtà è un’arma in grado di contaminare il mondo rendendo l’universo e la realtà completamente differente.

Alla base di questa torre altissima vivono Hiroki Fujisawa e Takuya Shirakawa, due amici all’ultimo anno di scuola media intenti a costruire un aereo per realizzare il loro sogno: volare vicino alla Torre di Hokkaidō, così imponente da essere visibile anche a molti chilometri di distanza. Sayuri Sawatari, compagna di classe dei due, inizia a frequentarli e si fa promettere che la porteranno con loro quando il velivolo sarà finalmente in grado di decollare.

Dopo le vacanze estive però la ragazza sparisce improvvisamente e i due amici, rimasti soli, crescendo prendono strade diverse: mentre Takuya lavora come fisico facendo ricerche sugli universi paralleli, Hiroki si iscrive a una scuola di Tokyo per allontanarsi dai luoghi che gli ricordano il suo passato e i sentimenti che prova per Sayuri. Nel mentre gli anni trascorrono, e scopriamo che la ragazza è ricoverata in ospedale, all’insaputa dei due amici, per una grave forma di narcolessia: in qualche modo Sayuri è in contatto diretto con la torre e le sue attività.

La trama, scostante e complicata, continuamente bersagliata di balzi temporali avanti e indietro, affronta in maniera totalmente superficiale tutto quello che è il contesto in cui vivono i protagonisti. Se all’inizio questa scelta, voluta dal regista, l’ascia un po’ l’amaro nella bocca degli appassionati di fantascienza, dall’altro costringe lo spettatore a focalizzarsi maggiormente sulle dinamiche tra i personaggi e il rapporto che intercorre tra loro. Personalmente avrei adorato che in questo film ci si fosse soffermati maggiormente nel mostrare il passato del Giappone, le dinamiche socio-politiche seguite alla fine della seconda guerra mondiale e cose di questo tipo, ma tutto questo non interessa Shinkai, e non era l’obiettivo di partenza del film parlare del contesto sociale in cui le vicende sono ambientate. L’attenzione è tutta rivolta, completamente e costantemente per tutta la durata del film, ai sentimenti provati dai tre personaggi.

In questa pellicola emergono limpidamente tutti i temi cari al regista e, in un certo senso, sono rappresentate molte delle dinamiche che ritroveremo poi nella sua filmografia, come se certi dettagli fossero una specie di firma, un marchio di fabbrica di Shinkai.

Così come nei film di Miyazaki ritroviamo quasi costantemente l’elemento del volo, Shinkai spesso utilizza il viaggio in treno, più che come mezzo di trasporto come luogo in cui avvengono dialoghi e incontri tra i personaggi, come strumento di possibile unione che li avvicina (o li allontana). Ecco dunque che un viaggio in treno diventa l’occasione per un incontro fugace tra due ragazzi innamorati, l’attesa nella stazione il pretesto per uno scambio di battute o la camminata in solitaria sui binari un momento di elucubrazione mentale in cui un personaggio elabora determinati pensieri su di sé e la propria vita.

Altro elemento cardine di questo film è quello del sogno, che ritroveremo anche in Your Name.. In Oltre le nuvole è centrale, tanto che Sayuri sarà addormentata praticamente per tutto il film, e proprio grazie al sogno riuscirà a mettersi in contatto col mondo reale.

Ma l’elemento più significativo della filmografia di Makoto Shinkai che possiamo osservare già da questo suo primo lungometraggio, e che (in modi sempre molto diversi) ritroviamo in tutti i suoi film, è il tema della distanza tra i due innamorati, il viaggio e le sfide che essi devono compiere per ricongiungersi, storie di innamorati che, nella filmografia di Shinkai, non sempre hanno un lieto fine.

Ci sono però dei dettagli del film che non sono stati dosati al meglio, secondo me. Alcune imprecisioni determinate, probabilmente, dal fatto che questa è un’opera prima. Accettato che il contesto socio-culturale in cui si sviluppa la storia sia solo accennato (nonostante sia molto complesso e, per certi versi, credibile), certe cose andavano introdotte e sfruttate meglio. Il personaggio di Hiroki, in una scena tra l’altro molto bella, suona il violino, strumento che può essere letto come forma di comunicazione con Sayuri (tant’è vero che in molti materiali promozionali è stata utilizzata proprio l’immagine dei due mentre suonano insieme), ma questa sua passione viene introdotta quasi all’ultimo momento nel film, quando in realtà, a conti fatti, risulta quasi rappresentativa del rapporto che lo lega a Sayuri.

Anche il destino di quella fantomatica torre, che ci viene mostrata continuamente in mille angolazioni al punto da essere quasi ossessionante, alla fine non ha nessun tipo di rilevanza nelle dinamiche della storia raccontata. Infatti, un altro elemento che fa capire quanto i fatti narrati non vertano prettamente sulle dinamiche di questa torre altissima quanto la storia del rapporto tra i ragazzi, sta nel fatto che il film si conclude con la distruzione della torre stessa e col volo dei due amici nell’universo parallelo. Di quella torre alla fine non conosciamo nulla, l’abbiamo vista al centro di molte inquadrature, come obiettivo da raggiungere per i protagonisti, ma alla fine altro non era che un pretesto (forse un po’ labile, a conti fatti) per parlare di altro.

Sebbene la trama possa risultare contorta, fattore che certamente influenzò la mia opinione di questo film quando lo vidi la prima volta, dopo alcune visioni il mio giudizio ora non è così critico. Certo, l’equilibrio dimostrato da Shinkai nella sceneggiatura di altre sue opere come Your Name. o 5 cm al secondo è lontano anni luce, ma va ricordato che questa fu la sua prima regia e alla sua prima sceneggiatura originale per un lungometraggio animato, e col senno di poi il tempo ha dimostrato che Shinkai è decisamente maturato, dimostrandosi un abilissimo narratore.

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